La cura necessaria

Una manovra debole e inadeguata

di Saverio Collura

Pensavo che il ciclo nefasto della finanza creativa inaugurato da Tremonti con la finanziaria del 2002 si fosse definitivamente concluso nel 2005, ed il nostro ministro dell’economia non sarebbe più caduto nella tentazione di propinare soluzioni che, per la natura stessa che le caratterizzano, sono fondate su elementi aleatori, privi di qualsivoglia rigore contabile: parliamo delle consistenti previsioni d’incassi previsti a fronte dei provvedimenti ideati dal ministro ("approssimativi ed inefficaci", sono stati così definiti dal direttivo di Confindustria) per la lotta all’evasione fiscale. L’on. Tre-monti, insigne fiscalista, e professore di Diritto tributario, sa meglio di tutti noi che il frutto della ricerca degli evasori non è di facile raccolta, in quanto da sempre è risultato aleatorio pre-definire tanto la tempistica che, soprattutto, la quantità del risultato di tali operazioni.

L’esperienza italiana è là a dimostrare l’estrema difficoltà nel fissare rigide aspettative, e quando lo si è voluto fare, il risultato è stato uno sgradevole riscontro. Possiamo tranquillamente affermare che una quota significativa del nostro debito pubblico è figlia delle previsioni di incassi sperati dalla lotta all’evasione. Nessun governo serio ritiene di poter indicare tale prospettiva d’incasso come credibile fonte di copertura, e quindi di riduzione del deficit. Infatti tali proventi vengono, di norma, finalizzati alla riduzione delle imposte a favore dei cittadini e del sistema produttivo, e distribuiti solo dopo che sono state effettivamente realizzati e contabilizzati. La manovra finanziaria attualmente in discussione al Senato, e definita da Confindustria debole ed inadeguata, risulta a questo punto costruita, almeno in parte, su provvedimenti (lotta all’evasione fiscale) approssimativi e poco efficaci. In sostanza, rispetto al decreto legge approvato il 13 agosto scorso, sono state sostituite entrate definite nei tempi e nella quantità con provvedimenti di natura non certa, anche se tutti auspichiamo con forza che possano risultare efficaci. Il presidente del Consiglio, con un’enfasi degna di miglior sorte, affermava che il suo cuore sanguinava per aver dovuto subire la tessa di solidarietà (strano comportamento di un capo di governo) perché comprometteva il suo impegno a non mettere le mani nelle tasche degli italiani, ignorando o facendo finta di ignorare che oltre i due terzi della manovra finanziaria, come certificato dalla Corte dei conti, risultano fondati sull’attivazione massiccia della leva fiscale; tanto che la pressione fiscale alla fine del 2014 potrebbe raggiungere il valore record del 44,5 per cento del Pil. Non vorremmo pensare che si trattava di sangue di coccodrillo. A tal proposito basta evidenziare che ben 20 miliardi di euro del totale della manovra dovrebbero arrivare, salvo una improbabile approvazione entro il 2012 della riforma fiscale sociale, da tagli orizzontali alle detrazioni e deduzioni previste dalla dichiarazione dei redditi delle persone fisiche, incidendo come maggiori prelievi tributari su questi ultimi, con conseguenti gravi effetti sui consumi primari delle famiglie.

Tutto ciò in una situazione in cui l‘ISTAT certifica che a giugno 2011 le vendite al dettaglio sono diminuite dell’1,2%, in conseguenza della contrazione del reddito disponibile oggi in atto. Ho più volte scritto che sulle manovre finanziarie dell’ultimo biennio il governo ha colpevolmente ignorato, e continua a farlo con i provvedimenti in corso, i problemi del debito pubblico (120% del Pil) e della assoluta criticità insita nella debolissima crescita del Paese, che oggi è prevista pari a 0,8% ed in un’ulteriore decrescita nel 2012 (0,7%); elementi questi che hanno scatenato le forti tensioni finanziarie degli ultimi due mesi. Non ci sembra che la manovra in corso di approvazione possa rappresentare una adeguata correzione di rotta nell’operato del governo. L’incremento dello spread dei nostri BTP rispetto ai BUND tedeschi continua ad accentuarsi ed oggi, pur in presenza di forti acquisti di titoli italiani (si parla di oltre 40 miliardi di euro) da parte della BCE ,supera abbondantemente la fatidica soglia dei 300 punti, che vuol dire un tasso di interesse sul nuovo debito di oltre il 5%. Come scriveva Giavazzi, solo il massiccio ed anomalo intervento della BCE ha impedito che il mercato esprimesse liberamente il grado di sfiducia verso il debito pubblico italiano. Ciò ripropone una questione essenziale: se il tasso d’interesse passivo del debito di un Paese supera il tasso corrente di crescita del suo Pil, si ha come conseguenza che il Paese cede parte del suo patrimonio ai creditori esteri e nel contempo continua ineluttabilmente a crescere il debito complessivo. L’Italia, per l’inettitudine del governo, si trova in questa situazione. Per uscire dalla crisi la cura necessaria deve essere molto più incisiva di quanto proposto dal governo; per quanto ci riguarda abbiamo indicato la ricetta più adeguata nella tesi congressuale sulla competitività: forse dobbiamo proporla ai nostri interlocutori con più convinzione e più intensità e trarne le dovute conseguenze.